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MARIO SCHIFANO
Mario Schifano nasce in Libia (Homs) nel 1934, dove vive solo i primi anni dell’infanzia. Arrivato a Roma con la famiglia nel dopoguerra, senza una forte predisposizione verso l’istruzione scolastica, lavora restaurando vasi e disegnando planimetrie di tombe per il Museo Etrusco di Valle Giulia, mestiere che apprende dal padre restauratore archeologico. Attività che abbandona con l’incalzare della sua passione per la pittura, che viene presentata per la prima volta in un’esposizione alla Galleria Appia Antica di Roma nel 1959, presentato da Emilio Villa, con opere che rientrano nella cultura informale, caratterizzate da gestualità e spessore materico. Con la mostra del 1960 alla Salita, presentata da Pierre Restany: Cinque pittori romani  Angeli, Festa, Lo Savio, Schifano, Uncini l’artista inaugura una fervida stagione che durerà più di un decennio, in cui sarà alla ribalta della critica con riconoscimenti quali il Premio Lissone (Lissone, 1961) e il Premio Fiorino, La nuova Figurazione (Firenze, 1963). La sua pittura si indirizza verso una monocromia realizzata su carte incollate su tela. L’opera viene trattata come schermo sul quale compaiono lettere, segni e le nuove immagini pubblicitarie, a partire soprattutto dalla fine del 1962. Personali e partecipazioni a collettive in spazi privati e pubblici e in manifestazioni in Italia (Roma, La Tartaruga, 1961; Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 1966 e L’Attico, 1967; Milano, L’Ariete, 1963 e Studio Marconi, 1965; Venezia, XXXII Biennale, 1964; San Marino, V Biennale, Oltre l’Informale, 1963 e VI Biennale, 1965; ) e all’estero (New York, Sidney Janis Gallery, The New Realists, 1962; Parigi, Sonnabend, 1963; Pittsburgh, Carnegie Institute, 1964; Biennale, San Paolo del Brasile, 1965; Tokyo, National Museum of Modern Art, 1967) evidenziano l’attività intensa dell’artista che caratterizza questo decennio, in cui si annoverano anche importanti viaggi in America (1962 e fine ’63 inizio ’64), dove viene a contatto con la Pop Art, con l’opera di Franz Kline, Jim Dine, e ne rimane affascinato. Schifano lavora per fasi tematiche, questi (dal ’63) sono gli anni dei Paesaggi anemici, dove il dato naturale viene rappresentato attraverso una antecedente immagine riprodotta (e non da un’esperienza vissuta direttamente), richiamata tramite allusioni spezzate in segni frammentati. Sono gli anni della frequentazione del Caffè Rosati, dove si riunisce il gruppo della “Scuola di piazza del Popolo”, con gli amici coinvolti in continui dibattiti. Dal ‘64 - ’65, dedica una serie di famose opere al Futurismo, dove l’immagine, ripresa dalla fotografia del gruppo futurista a Parigi nel 1912 (Boccioni, Severini, Carrà, Russolo, Marinetti), ripropone le figure come sagome evocate dalla memoria sotto pannelli di perspex colorati. In Schifano l’attenzione alla tecnologia e alla riproduzione di immagini, la dimensione contemplativa verso la città, la musica, la pubblicità, la fotografia, si confondono con la cinematografia. Le sue sperimentazioni in tal campo iniziano nella prima metà degli anni Sessanta, durante i quali realizza alcuni cortometraggi, un lungometraggio (Anna Carini vista in agosto dalle Farfalle, Studio Marconi, 1967) ed una trilogia di film, Satellite, Umano non umano, Trapianto, consunzione e morte di Franco Brocani. I primi annisi aprono con i Televisori, tele emulsionate dove vengono riportate immagini estrapolate dal video e sottoposte a interventi di colore alla nitro. Immagini della sua Musa ausiliaria (la televisione), con interventi pittorici e fotografie ritoccate a mano, saranno successivamente protagoniste di una mostra itinerante in Brasile (Fundacao Memorial da America Latina, 1996), a Buenos Aires (Museo Nacional de Bellas Artes, 1997), all’Avana (Fondazione Wilfredo Lam, 1998) e a Città del Messico (Museo de Arte Carillo Gil, 1998). L’impegno in mostre personali e collettive, soprattutto in Italia (Roma, Studio Soligo, 1970, Palazzo delle Esposizioni, X Quadriennale; Parcheggio di Villa Borghese, Contemporanea, 1973, curata da Achille Bonito Oliva; Parma, La Steccata, 1973 e Università degli Studi, 1974; Napoli, Lia Rumma, 1973; Bologna, Galleria Nazionale di Arte Moderna, 1976; Venezia, XXXVIII Biennale, 1978; Ferrara, Palazzo dei Diamanti, 1979), prosegue - seppur meno efficace, per le crisi esistenziali di cui l’artista è preda dalla fine degli anni Sessanta - fino a siglare i due decenni a venire. Dopo questi anni tormentati (molte volte arrestato per detenzione ed uso di droga e trattenuto in manicomio), Schifano si propone con opere che, oltre a ripensare i grandi artisti delle avanguardie storiche, da Magritte a de Chirico, Boccioni, Picabia, Cézanne, ricalcano le sue stesse opere degli anni Sessanta.  L’artista quasi al volgere del nuovo decennio ritorna in maniera operativa a una pittura tradizionalmente intesa, ricca di gestualità e di materia. L’attenzione della critica - si citano per tutti Maurizio Calvesi e Germano Celant - fa sì che la sua presenza in importanti esposizioni non solo in patria (Roma, Palazzo delle Esposizioni, Arte e Critica, 1980; Venezia, XL Biennale, 1982 e XLI, 1984; Ferrara, Padiglione d’Arte Contemporanea, 1989; Milano, Palazzo della Triennale, 1995; Verona, Palazzo Forti, 1997) ma di nuovo anche, e soprattutto negli anni Novanta, all’estero (Parigi, Centre Pompidou, Identité italienne, 1981; San Francisco, Museo Italo Americano, 1985; Oporto, Museo di Arte Contemporanea, 1986; Francoforte, Kunstverein, 1987; Londra, Royal Academy, 1989; Bruxelles, Palais des Beaux Arts, 1989; New York, Solomon Guggenheim, 1994; Beijing, International Exhibition Center, 1997) sia vivace. Tra queste esposizioni, per l’attenzione al mondo preistorico, al fenomeno naturalistico - sempre riprodotto e filtrato dalla memoria - che caratterizza l’attuale ricerca di Schifano, si evidenziano quelle a Venezia (Palazzo delle Prigioni Vecchie, Naturale sconosciuto, 1984), Aosta (Tour Fromage, 1988), Parigi (Galerie Maeght, 1988), Saint Priest (Centre d’Art Contemporain, 1992). La sensibilità alle tragedie che l’umanità vive (dall’ecologia, alle guerre, alla solitudine dell’individuo) si esplica nel suo attivismo sociale, finanziando molte volte gruppi di lavoro e studio con il denaro ricavato dalla vendita delle sue opere. Nel 1997 viene insignito del Premio San Giorgio di Donatello per le vetrate policrome della cripta di Santa Croce a Firenze, per il settimo centenario della costruzione. Muore nel 1998 a Roma e due anni dopo Venezia gli rende omaggio alla Biennale con una grande esposizione.



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