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AGOSTINO FERRARI
Per oltre mezzo secolo Agostino Ferrari ha utilizzato il segno come strumento espressivo capace di raccontare le sue emozioni personali e le sue reazioni verso la realtà esterna ma anche come cifra di un linguaggio partecipe del mainstream contemporaneo, fra post-informale, arte programmata, minimal, pop e i vari ritorni alla pittura. Pittura a cui Agostino Ferrari non ha mai voluto rinunciare, come i compagni che nel 1962 fondano con lui il gruppo del “Cenobio” (Angelo Verga, Ettore Sordini, Arturo Vermi e Ugo La Pietra), pur riducendola ai minimi termini di un fraseggio grafico di moduli a-significanti tracciati nel colore, il cui vago modello visuale erano pagine di giornale: una tattica per coniugare la cronaca di un’epoca inquieta e radicale con un’intensa sensibilità, il pubblico con il privato. Dopo lo scioglimento del gruppo e due soggiorni negli USA, nella seconda metà degli anni Sessanta il lavoro di Ferrari acquista una consistenza oggettuale, in parallelo alle coeve esperienze degli amici Agostino Bonalumi, Enrico Castellani e soprattutto Dadamaino. Il segno diventa incisione concretamente praticata sulla superficie, traccia rappresentata o filo metallico in rilievo (nel ciclo intitolato “Teatro del segno”); vengono effettuate anche ricerche sulla forma, ottenuta attraverso un metodo rigoroso, di carattere processuale (“Forma totale”) che suscita l’interesse e l’apprezzamento di Lucio Fontana. Infine, dopo il segno, la forma e lo spazio, l’artista prende in considerazione il colore, indagato in relazione a diverse figure geometriche, con un procedimento lucidamente razionale e tale da evitare qualunque implicazione espressiva (le opere si intitolano “Segno, forma colore” e “Autoritratto”). Alla fine degli anni Settanta, una fase di ripensamento e di bilanci definita “rifondazione” porta Ferrari a recuperare un segno più gestuale che da quel momento non lascerà più: moduli e grafie illeggibili, di consistenza diversa, talvolta impreziosite da uno spessore di sabbia nera vulcanica e brillante, si moltiplicano attraverso nuovi cicli che impegnano l’artista per alcuni decenni, dagli “Eventi” ai “Palinsesti” alle “Maternità”, dove uno schema centrale (matrice) è ripetuto nella fascia più esterna del quadro, dando luogo a una ripresa con valori tonali invertiti; fino ai recenti “Oltre la soglia” e “Interno-esterno”, caratterizzati dalla presenza di uno squarcio colmo di impenetrabile nero in cui il segno si immerge o da cui fuoriesce, come per connettersi all’esperienza positiva della luce con l’indefinibile alterità del nuovo spazio rivelato da Lucio Fontana con i suoi squarci e i suoi fori nella tela.

Agostino Ferrari nasce a Milano il 9 novembre 1938. Espone per la prima volta nel 1961 alla galleria Pater, presentato da Giorgio Kaisserlian. Incontra Lucio Fontana e gli artisti con cui l’anno successivo fonderà il gruppo del Cenobio. I giovani milanesi vogliono “salvare al pittura” interpretandola e rinnovandola così da renderla gesto puro, primitivo ma al contempo proteso verso il futuro. La via da seguire è quella che porta alla nascita di una vera e propria “poetica del segno” dove la tecnica pittorica si riduce a grafia e la composizione a un sovrapporsi di tratti archetipici cifrati. Dopo lo scioglimento del gruppo, Ferrari continua a coltivare il segno come scrittura non significante. Nel 1966 espone a New York, alla Eve Gallery. Successivamente, tornato in Italia, elabora cicli oggettuali e processuali dedicati agli ingredienti della pittura, segno, forma e colore, vere e proprie “messe in scena” dal carattere “fondamentalmente plastico”, come scrive Lucio Fontana nel 1967. Questa ricerca lo conduce, nel 1975, all’Autoritratto, l’unica installazione prodotta in tutto il suo itinerario creativo, esposta per la prima volta all’Arte Fiera di Bologna con la Galleria L.P.220 di Torino e, l’anno successivo, nella mostra personale a Palazzo dei Diamanti a Ferrara. Negli anni successivi, tra il 1976 e il 1978, Ferrari esegue l’Alfabeto, due serie di sei opere che sono la conseguenza dei suoi studi di Segno Forma Colore e che segnano la sintesi di quanto contenuto nell’Autoritratto. Nel 1978, dopo un soggiorno a Dallas dove espone l’Alfabeto presso la Contemporary Art Gallery, riemerge in lui l’esigenza di esprimersi con il segno puro ed entra in un periodo di “rifondazione”. Quasi contemporaneamente incomincia l’uso della sabbia vulcanica, che resterà caratteristica costante del suo lavoro fino ad oggi. Agostino Ferrari ha esposto in centinaia di mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Fra le più importanti si ricordano soltanto le personali al Palazzo dei Diamanti di Ferrara (1976), al Palazzo Braschi di Roma (1992), alla Casa del Mantegna di Mantova (2010), alla Fondacion Frax di Alfas del Pi (Alicante, Spagna) (2011), al Palazzo Lombardia (2013). Ha vinto il premio per l’incisione Joan Mirò (1971) e il premio alla carriera Bugatti-Segantini (2017). Nel 2007 ha realizzato alcune opere pubbliche permanenti nella piazza Borgoverde di Vimodrone, su incarico del gruppo Land (Landscape Architecture) di Milano. Ha lavorato con gallerie di primo piano in Europa come Franz Paludetto (Torino), Thomas Levy (Amburgo), Lorenzelli (Milano), Centro Steccata (Parma), Ca’ di Fra’ (Milano).

Il catalogo generale dell’opera di Agostino Ferrari, è curato da Martina Corgnati, pubblicato da Electa. Circa 2500 le opere documentate, esclusi i multipli e i progetti, oltre a testi critici e apparati bio-bibliografici.

Breve racconto, 1964
tecnica mista su carta intelata
cm 75,5x56
Senza titolo, 1965
tecnica mista su carta intelata
cm 66x49,5
N.E.S.O., 1994
acrilico e sabbia su tela
cm 100x80
Senza titolo, 1989
tecnica mista e sabbia su cartone
cm 65x50
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